1013° Fiera di Sant'Orso

da Mercoledì, 30 Gennaio, 2013 - 07:00 a Giovedì, 31 Gennaio, 2013 - 19:00
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1013° FIERA DI SANT’ORSO: 30-31 gennaio 2013

I cambiamenti climatici svelano l’enigma della Fiera di Sant’Orso
A ben guardare le origini della fiera di Sant’Orso, ciò che stupisce ancor più della sua storia Millenaria, è il periodo dell’anno in cui da sempre è stata celebrata, il 31 gennaio, nel cuore del duro inverno alpino.

Per spiegare questo “enigma della storia”, è necessario affidarsi alle recenti acquisizioni sulle variazioni climatiche che ci fanno comprendere come, tra il 750 e il 1550 (optimum climatico dell’età feudale), le Alpi godessero di un clima addirittura più caldo dell’attuale, potendo contare su inverni più brevi e miti che vedevano nel 31 gennaio la conclusione della stagione fredda.
Così, la fine di gennaio rappresentava il momento ideale per procurarsi gli attrezzi agricoli, in vista dell’imminente arrivo della primavera e dei lavori nei campi.
E che la Foire fosse un appuntamento ormai secolare, lo si evince già nel 1240, in alcuni documenti notarili, nei quali si parlava di una fiera con più di trecento anni di vita.
Altri riferimenti si sono succeduti fino al 1500, quando scomparvero sino al 1800 in coincidenza con il pessimum climatico, ossia la piccola era glaciale che costrinse i valdostani ad affrontare duri e lunghi inverni accompagnati dall’inesorabile avanzata dei ghiacciai.
Questi repentini cambiamenti climatici bloccarono per oltre trecento anni l’accesso ai valichi, compromettendo così ogni forma di commercio attraverso le vie alpine che fino ad allora avevano collegato le Repubbliche marinare ai grandi centri fieristici come Ginevra, Lione e le Fiandre.
Sempre in base alla documentazione di cui siamo in possesso, si tornò a parlare ufficialmente di Foire nella seconda metà del XIX secolo, in concomitanza con il netto miglioramento climatico che prese inizio in quegli anni, con il ritiro dei ghiacciai e l’accesso ai valichi durante la bella stagione.

Da mercato degli attrezzi agricoli a fiera degli artigiani e degli artisti
L’abecedario del visitatore
Come emerge dai più antichi documenti, sin dalle sue origini la Fiera di Sant’Orso ha rappresentato un momento di scambio degli oggetti in legno costruiti durante l’inverno dai contadini e dagli allevatori.
Durante i tre giorni di mercato i valligiani vendevano e compravano le suppellettili (culle, scodelle, pestelli, taglieri, posate) o gli attrezzi agricoli (rastrelli scale, botti cesti, piccoli carri o ‘Charrabanques’ realizzati nelle lunghe giornate invernali) che sarebbero serviti nelle abitazioni principali o negli alpeggi e per la lavorazione dei campi.
Solo dopo la seconda metà del XIX secolo, fra gli attrezzi agricoli e le suppellettili casalinghe, fecero la loro comparsa anche altri oggetti più conviviali, come la “Grolla”, la famosa coppa valdostana usata per bevute “à la ronde”, che la tradizione vuole legata al mistico vaso del “Gral” dei cavalieri di Re Artù.
Mentre, è della fine del 1800 la vendita dei primi giocattoli intagliati: galletti, cavallucci con le ruote (i famosi Tatà) e “Cornailles, ossia le mucche in legno stilizzate con le quali i bambini replicavano nei loro giochi le batailles degli alpeggi.
Questi oggetti, di fatto, segnano una svolta nel carattere originario della fiera che, fino ad allora, era stata esclusivamente dedicata al lavoro.
Infatti, con l’affermarsi dell’industria e dei suoi prodotti (strumenti prima e mezzi poi), gli attrezzi agricoli lavorati a mano persero via via di importanza, lasciando spazio agli oggetti della casa: grolle, coppe dell’amicizia attentamente decorate, sculture lignee in altorilievo o a tutto tondo ecc.
Nei decenni successivi l’offerta si arricchisce ulteriormente e, sui banchi, appaiono altri prodotti dell’artigianato locale, come le sculture in pietra, il ferro battuto, le stoffe tessute a mano con gli storici telai di Champorcher e Valgrisenche e i preziosi merletti a tombolo di Cogne i segreti della cui lavorazione sono tramandati oralmente di madre in figlia.
E proprio per consolidare e tramandare questa tradizione, nel secondo dopoguerra la Regione ha creato l’Istituto valdostano per l’artigianato di tradizione (IVAT) e di recente il Museo dell’Artigianato Valdostano (MAV), aprendo in vari comuni scuole e corsi che hanno permesso di formare su tutto il territorio migliaia di artigiani e artisti, che altro non sono che l’anima millenaria della Foire. Una tradizione artigianale che non muore ma, anzi, si rinnova di generazione in generazione, in tutti i Comuni e i villaggi della valle d’Aosta.

Il MAV
In particolare, il MAV nella sua sede di Fénis, vuole creare un percorso legato alle materie prime, alle linee estetiche e alle forme tradizionali, alle tecniche e al savoir-faire artigianale, per salvaguardare un’arte e sostenere un‘identità indissolubilmente legate tra loro e che le renda fruibili al grande pubblico. È proprio per questo che il MAV non è stato concepito come un mero luogo di conservazione e salvaguardia di manufatti artigianali, bensì come un progetto di comunicazione nel quale gli oggetti d’uso spariti dalla vita quotidiana e vere e proprie sculture vengono esposti e fatti condividere dalla comunità che li ha creati.
L’allestimento del Museo si articola su sei aree tematiche:
1) Materia: tessuti, pietra, legno, ferro, con oggetti da vedere e da toccare.
2) Area domestica interna , a sua volta suddivisa in “mèizòn” e “peillo”: una dimensione raccolta, intima, fatta di spaccati di vita familiare, con culle, oggetti sacri, coppe e grolle.
3) Area domestica esterna : “la grandze” (granaio/fienile), “lo baou” (stalla), “la crotta” (cantina), “la cor” (la corte), “la remiza” (la rimessa). Si tratta di un‘area che racconta il legame tra uomo ed animale, tra uomo e terra, un legame scandito dalle stagioni e dal lavoro quotidiano.
4) Area comune e vita sociale : école (scuola), chapelle (cappella), laiterie (latteria), atelier (laboratorio artigiano), four à pain (forno del pane). Luoghi di incontro per eccellenza, dove le attività dell‘uomo, dalla preghiera al lavoro allo studio era svolto in comunità.
5) Area della ricerca poetica, scultura e decorazione : in questa sezione sono presenti testimonianze e sculture che mettono in evidenza la parte più personale, emotiva e sensibile dell‘artista-artigiano nel momento in cui crea, con tutte le sue passioni, le sue paure, i suoi ricordi, che si concretizzano nel momento dell‘esecuzione dell‘opera.
6) La Fiera di Sant‘Orso: immagini e suoni che identificano la fiera millenaria, con tutti i suoi colori, rumori…

MATERIALI E PRODOTTI

IL LEGNO
Materiale utilizzato per la produzioni di oggetti del mondo agricolo e della casa. In particolare, fra gli utensili domestici si distinguono, ancora oggi, i taglieri, spesso decorati con rosoni, come il caratteristico coppapan (corredato di coltello, che serve per frantumare il pane nero), i marchi per il burro e per il pane. Un oggetto particolarmente caro alle famiglie, che viene tuttora conservato con grande affetto, era la culla dei neonati.

Oggetti torniti:
La grolla: È il più famoso e ricercato oggetto dell’artigianato regionale. È essenzialmente un calice da vino con coperchio, cavato in un blocco di legno pregiato, sorretto da un corto gambo che si innalza da un largo piede a base piatta. Il fondo della coppa è circondato da una fascia anulare che, dando origine ad un incavo, ne facilita la presa e l’apertura. Nasce sul tornio, poi le abili mani dell’artigiano la elaborano e vi aggiungono decorazioni. Terminato il lavoro di intaglio, viene immersa nel vino bollente, operazione che le conferisce una patina rossastra che la valorizza e impreziosisce, preparandola all’uso. La sua matrice è insieme religiosa e conviviale: da calice paleocristiano, graal leggendario, a coppa contadina. Delle lontane origini conserva l’eleganza, la forma, la ricca decorazione. Il termine grolla deriva da “graal” che in lingua d’oil significa calice e che trae origini dal vocabolo latino gradalis o cratalis e dal greco krater. La grolla era riservata alle bevute conviviali in occasioni speciali, mentre per l’uso quotidiano si ricorreva a ciotole in legno, alcune con la tipica forma di scodella, altre munite di due manici, altre più elaborate e con un abbozzo di beccucci e il bordo diviso in più parti da segmenti di legno che ne coprivano parzialmente la parte superiore creando motivi geometrici.
La coppa dell'amicizia: Derivata dalla grolla, ma più bassa e panciuta, con più beccucci e generalmente con il coperchio scolpito a grappolo, viene usata per il vino ma soprattutto per il “caffé alla valdostana” (caffé misto a grappa, zucchero e spezie, servito fiammeggiante). La coppa si presenta in una grande varietà di interpretazioni, di linea semplice con poche decorazioni o molto scolpita e intagliata. Simbolo di amicizia, viene usata durante le bevute conviviali à la ronde.

Sabots: Nelle vallate alpine dove generalmente abbondava il legname, prima dell’avvento degli scarponi da montagna, i tipi di calzature più diffusi erano gli zoccoli in legno: i sabots. L’origine di questo tipo di calzature è antica e sconosciuta: si può presumere che sia nato, su felice intuizione di qualche artigiano, dalla necessità di disporre di calzature robuste e confortevoli adatte al clima e alla natura del suolo. I sabots, oltre ad essere economici, avevano il vantaggio di essere caldi e asciutti, adatti cioè ai rigori dell’inverno, al fango e alla pioggia. I sabots degli uomini erano più massicci e pesanti, mentre quelli delle donne avevano il tacco più alto e sottile e la sagoma più snella; infine, quelli dei bambini erano muniti di lacci che venivano legati alla caviglia.
Queste calzature vengono utilizzate oggi più che altro a scopo decorativo; solamente in Valle d’Ayas è ancora viva la tradizione di indossarli nella vita quotidiana.

Giocattoli: In un ambiente in cui ognuno ha sempre dovuto provvedere a fabbricarsi il necessario con le proprie mani, anche i bambini hanno imparato a costruirsi i propri mezzi di svago. In generale, essi dimostrano predilezione per i giocattoli che rappresentano gli animali domestici, che sono loro familiari: nascono così le “cornailles”, piccole forme di mucche stilizzate, dal corpo tozzo, senza gambe, costruite in assoluta libertà di proporzioni. I giocattoli erano quasi tutti zoomorfi: oltre a mucche e pecore, erano presenti galline dal collo altissimo, senza zampe, che si alzavano direttamente da una piccola base, i “tatà”, muli posti su quattro ruote, gatti, caproni, ecc.
Ancora oggi continua la produzione di questo tipo di giocattolo che però assume una funzione puramente decorativa.

Oggetti intagliati: La tecnica di incisione del legno o della pietra ollare è nata in Valle d’Aosta come esigenza di abbellimento di oggetti d’uso comune per soddisfare le esigenze estetiche di abbellire e rendere ancora più accogliente la sua casa. Le prime decorazioni consistevano soprattutto in disegni geometrici, rosoni, stelle, cerchi al compasso, ruote solari. Anche per quanto riguarda l’intaglio, l’artigiano valdostano è autodidatta, le sue riproduzioni sono schematiche e semplici, eppure suggestive e piene di fascino, e le decorazioni sobrie, quasi esclusivamente simmetriche.
L’arte decorativa attuale ha conservato il suo arcaismo tradizionale: cerchi che si intrecciano e si combinano formando un’infinità di motivi ornamentali, croci, iniziali, rosoni, rami, fiori, ecc. Molte di queste decorazioni hanno valore simbolico e aiutano a capire il carattere e lo spirito del popolo valdostano: sono simboli di fede, di attaccamento alla chiesa, di amore per la famiglia. Le iniziali scolpite su travi, finestre, attrezzi stanno a simboleggiare il vivo senso della proprietà, il desiderio di perpetuare la propria stirpe e di tramandare qualcosa alle generazioni future.
Nel ripetersi di motivi geometrici, alcuni critici hanno visto una manifestazione di amore per tutto ciò che è ordine e ripetizione schematica, come è attestato anche dalla passione che i valdostani nutrono per la musica, la poesia, il canto, il ritmo.

Sculture: Tra le varie manifestazioni artigianali della Regione, la scultura rappresenta quella in cui i valdostani hanno espresso meglio i loro valori culturali con apprezzabili risultati artistici. Le materie prescelte sono il legno (pino cembro, noce, castagno selvatico, acero, betulla, ciliegio) e la pietra ollare. Nata come attività complementare nella pausa dei lavori agricoli duranti i lunghi inverni, la scultura si è gradualmente evoluta e perfezionata passando da tratti rudimentali a vere e proprie opere artistiche. L’artigiano valdostano è per lo più autodidatta, la sensibilità estetica di cui è dotato lo guida e, quasi per istinto naturale, dai colpi di scalpello scaturiscono linee pure e armoniose. Tra le sculture più significative troviamo santoni, ritratti di personaggi e scene di vita familiare ed ambientale, maschere, fauna valdostana o più semplicemente radici o rami che con abili colpi di scalpello o coltello l’artigiano riesce a plasmare ricavandone soggetti vivi e fiabeschi, come draghi e demoni.
Mobili: Una categoria produttiva particolarmente cara ai produttori valdostani è quella dei mobili. L’attuale produzione è in parte diversa da quella del passato.
Alcune creazioni, però, pur essendo proposte in chiave moderna conservano elementi propri della tradizione.

ALTRE LAVORAZIONI
Le maschere - Tra le manifestazioni più antiche del costume e dell’arte popolare, possiamo citare le maschere, il cui secolare uso per riti, cerimonie, spettacoli sta a simboleggiare il bisogno dell’uomo di “travestirsi”, di suscitare paura, di rappresentare vizi e difetti propri della sua comunità. In Valle d’Aosta, come in altre regioni alpine, le maschere sono scolpite nel legno, e spesso ricavate da pezzi di scorza d’albero; create con abilità, e ricche di vigore e potenza evocativa. La forza dell’espressione viene data dagli occhi, dalle arcate sopraccigliari più o meno accentuate, da fronti rugose e nasi imponenti, da bocche con “lingue a penzoloni” e dal ghigno beffardo, accigliato o spaventato. I personaggi più tipici che vengono rappresentati con maschere intagliate sono quelli del Carnevale della vallata del Gran San Bernardo.
I fiori in legno - Sono cronologicamente una delle ultime creazioni dell’artigianato. Dai trucioli di legno composti in modo aggraziato sbocciano stupendi fiori che si ispirano alla flora della Valle

Draps de Valgrisenche
È dalla notte dei tempi che gli abitanti della Valgrisenche si dedicano all’attività tipica della vallata: la tessitura del “drap”. I valligiani si dedicavano a questo mestiere forse per mancanza di attività complementari alternative all’agricoltura e alla pastorizia. Tessevano non solo le donne ma anche gli uomini, spesso più adatti a manovrare i rudimentali telai. Ancora oggi la struttura del telaio è rimasta rozza, di tipo rinascimentale e poche sono state le innovazioni introdotte per rendere più agevole il lavoro. Dal telaio nasce il “drap”, tessuto rustico e particolarmente grezzo proveniente dalla lana di pecora. Il drap classico era monocolore, sviluppandosi poi in tinte vivaci e multicolori che formano motivi geometrici e quadri di varie dimensioni. Viene utilizzato, in particolare, come tessuto da arredamento dato che si abbina perfettamente allo stile dei mobili rustici.
A Valgrisenche si mantiene tutt’oggi viva la tradizione del “drap” grazie al prezioso lavoro della cooperativa “Les Tisserands” che produce copriletto e coperte, scialli e sciarpe, gilet, centrotavola, tappeti.

Chanvre de Champorcher
La coltivazione della canapa veniva effettuata in particolar modo nella zona di Chambave e in altre località della bassa Valle: la tessitura della tela era, invece, considerata una delle attività tipiche della vallata di Champorcher. I telai usati erano generalmente in legno di larice con licci in corda. Ne troviamo ancora un esemplare perfettamente
conservato nel villaggio di Chardonney. L’attività di tessitura della canapa, cessata per molti anni è ripresa da poco per iniziativa dell’Amministrazione regionale e della cooperativa “Lou Dzeut” che, insieme, hanno provveduto ad allestire una mostra permanente ed un laboratorio per la lavorazione del prodotto.
Con la tela di canapa di Champorcher vengono confezionate lenzuola, asciugamani, camicie, ecc.

Costumi tradizionali
I costumi tradizionali valdostani sono l’espressione del gusto, della fantasia, del desiderio di distinguersi e di riconoscersi degli abitanti dei diversi paesi della Valle d’Aosta. Attorno ad essi si sono intrecciati gli episodi e gli avvenimenti più importanti e significativi della vita popolare e ancora oggi vengono indossati in occasione di feste e particolari ricorrenze.

Sock e pioun
“D’Socka” e “pioun”, così chiamati nei dialetti Walser e franco-provenzale, sono delle pantofole in tessuto confezionate tradizionalmente nella vallata di Gressoney. I primi scritti, in cui si fa cenno all’abbigliamento locale e quindi a questo particolare tipo di calzatura, risalgono al 1800. Le pantofole, usate in passato anche per i lavori dei campi, si confezionavano con abiti smessi dal tessuto piuttosto pesante. Per i giorni festivi si utilizzavano stoffe dai colori vivaci che per le donne venivano abbellite con qualche ricamo. Oggi, per la vendita, si utilizzano dei bei panni di lana pesante oppure il “drap”. La suola è formata da diversi strati di stoffa che vengono assemblati per dare un po’ di spessore poi trapuntati verticalmente o orizzontalmente a seconda delle località in cui sono confezionate. Le calzature vengono proposte per uomo, donna e bambino.
Attualmente, la cooperativa “D’Socka” di Gressoney-Saint-Jean, specializzata nella confezione delle pantofole tipiche della Valle del Lys nonché nella realizzazione di bellissimi costumi regionali, si occupa della promozione, della valorizzazione e della vendita di questi prodotti.

Pizzo - Dentelles de Cogne
La lavorazione del pizzo al tombolo, ormai parte integrante della tradizione di Cogne, secondo alcune testimonianze sarebbe stata importata nel XVI secolo da alcune monache benedettine, fuggite dal monastero di Cluny e stabilitesi in alcune località della Valle d’Aosta. A Saint-Nicolas, la sorella del parroco, nativa di Cogne, avrebbe imparato il punto base d’intreccio al tombolo per insegnarlo successivamente alle sue compaesane, che pensarono di produrre e utilizzare questo pizzo per ornare il loro costume tradizionale. La tecnica del pizzo è quindi d’importazione ma i vari punti sono sicuramente di origine locale e legati all’ambiente e alla fauna: “teppa cleire” (zolla chiara), “joue de perni” (occhi di pernice), “pavioula” (farfalla), ecc. I disegni, fatti a mente dalle merlettaie senza uno schema preciso, sono frutto della loro fantasia e vengono tramandati di madre in figlia. La larghezza del pizzo varia in rapporto al numero di fuselli impiegati: più questi sono numerosi più il pizzo è largo e pregiato. Il filo usato è di lino e il colore è quello naturale del lino grezzo, ma talvolta viene candeggiato per renderlo più bianco. Cogne mantiene viva questa tradizione grazie al lavoro della Cooperativa “Les Dentellières” che raggruppa decine di merlettaie e che ogni anno produce una buona quantità di questo preziosissimo pizzo.

Pietra locale
Tra le pietre locali reperibili in Valle d'Aosta, la pietra ollare è una delle più utilizzate dagli artigiani valdostani. Si tratta di una roccia omogenea e compatta di colore verde, nota agli abitanti delle Alpi sin dal periodo neolitico per la sua caratteristica di poter essere facilmente intagliata e lavorata appena estratta dalla cava. Per secoli, dai filoni di roccia verde, si è continuato ad estrarre la pietra ollare che, in molte zone svizzere e lombarde, ha originato una fiorente industria estrattiva e manifatturiera.
Il nome dato a questo particolare tipo di pietra deriva dal termine olla, il quale indica un “grosso vaso di terracotta o d’altro materiale, a forma di pentola, che i romani usavano per cuocervi e conservarvi le vivande e anche per riporvi le ceneri”. In Valle d’Aosta la pietra ollare, presente nella Valtournenche, nella Valle d’Ayas e nella Valle di Champorcher, ha rivestito per secoli una certa importanza come materiale per la fabbricazione di oggetti e recipienti vari lavorati con l’uso di torni azionati a pedale.
Soprattutto nella Valtournenche, patria dei tornitori, gli artigiani si sono specializzati nella realizzazione di stufe, riccamente decorate tanto che, fino all’introduzione del riscaldamento centrale, molte famiglie borghesi ne possedevano una in soggiorno. Oggi, intagliata o scolpita, viene utilizzata per la creazione di sculture, piatti, ciotole, scatole e, ovviamente, per le stufe.

Ferro battuto
Le origini dell’artigianato del ferro battuto in Valle d’Aosta sono direttamente legate allo sfruttamento delle miniere di Cogne e di Ussel, che fornivano il minerale necessario al funzionamento delle numerose forge sparse capillarmente sul territorio regionale. La lavorazione artigianale rivolta in prevalenza alla realizzazione di oggetti d’uso quotidiano (recipienti, chiavi, serrature, attrezzi agricoli, ecc.) ha raggiunto non di rado livelli artistici di tutto rilievo: basti citare, ad esempio, la fontana del melograno del Castello di Issogne. Il massiccio arrivo sul mercato valdostano, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, di prodotti industriali a prezzi concorrenziali in seguito alla costruzione della ferrovia Ivrea-Aosta, causa una profonda crisi riducendo la produzione artigianale del ferro ad un ruolo marginale. Solo a partire dal dopoguerra, il crescente interesse manifestato nei confronti della produzione artigianale determina una graduale ripresa del settore, tanto che i manufatti per l’edilizia, quali ringhiere, insegne, inferriate, e per interni, lampadari, portaombrelli e attaccapanni, sono attualmente diventati validi e ricercati complementi dell’arredamento in stile valdostano di ville, rustici ristrutturati, baite, ecc.

Cuoio e pelle
La lavorazione del cuoio si sviluppò in Valle d’Aosta probabilmente in epoca romana. Gli oggetti antichi rimasti sono scarsi: troviamo ancora bisacce, otri, borracce, fiaschette, zoccoli. Attualmente esistono in Valle numerosi artigiani del cuoio: la loro produzione è rivolta soprattutto alla creazione di accessori d’abbigliamento (zainetti, borse, portafogli, scarpe, cinture) e di articoli di vestiario. Alcuni artigiani realizzano ancora i collari per il bestiame, i finimenti per il cavallo, i “socques” (zoccoli con suola in legno e tomaia in cuoio) ed altri oggetti legati alla tradizione e al folclore valdostano.

Vimini
La vannerie (dal francese van: vaglio, cesto utilizzato per setacciare il grano) - Molto fiorente è la produzione di panieri e gerle che vengono fabbricati in salice, con o senza corteccia, in quasi tutta la vallata: sono anche utilizzate la vitalba, la lantana e la sanguinella. Nelle alte valli, mancando questi materiali, viene utilizzato il legno di nocciolo, castagno o rovere, tagliato a listarelle a sezione quadrata o rettangolare.

Testo scritto da Pier Maria Minuzzo

 

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