Sono passati quasi 44 anni da quell'agosto del 1957 quando le due cordate Corti-Longhi e Nothdurft-Mayer, poi riunitesi in una sola, si sono trovate in grave difficoltà sulla leggendaria parete nord dell'Eiger. Molti ricordano bene quei tempi, altri non li ricordano solo perché era più o meno l'epoca della loro nascita; statisticamente solo una minoranza non può ricordarli perché è di una generazione successiva. Eppure anche a noi che in questo caso facciamo parte della "maggioranza" sembra un'altra era geologica.

Le fotografie inserite nel testo non ci consolano: erano ancora i tempi delle pedule di cuoio, dei pantaloni alla zuava, dei calzettoni di lana fatti ai ferri e degli zaini di tela grezza con i cinghietti di pelle. Era soprattutto ancora il tempo in cui per salvare degli alpinisti in difficoltà bisognava scalare la montagna, magari per altra via; raggiungere i feriti, issarseli in spalla e calarli a valle in barella a forza di braccia.
Talvolta, come in questo specifico caso, bisognava anche risolvere il problema di "chi" andava lassù, dato che interesse, paura e politica si intersecavano in un groviglio inestricabile, che produceva solo litigi, invidie, ripicche e defezioni. E' forse questa la grande lezione che ci resta di quella assurda tragedia (replicata l'anno seguente sul Monte Bianco): l'alpinismo attuale non vanta solo una maggiore capacità tecnica o dei materiali che un tempo sarebbero sembrati "spaziali", ma può contare ovunque su un corpo di professionisti del soccorso, addestrati all'emergenza e perfettamente consci del rapporto dovere-rischio-beneficio insito nella loro professione. E' una vera e propria conquista, realizzata da pochi, ma in nome e per conto di tutti. Dopo aver letto questo libro, avvincente come un romanzo ed interessante come un reportage giornalistico, la nostra mente vola agli elicotteri del soccorso alpino, civile o militare che sia, e non possiamo non rispolverare il luogo comune "ragazzi, grazie di esistere!".